Rinaturalizzare l’Italia

Anna Rizzo
4 min readApr 12, 2021

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Disimparare dal passato

Annina a Frattura (AQ)

Nella mia vita ultraterrena andrò a vivere in un paese, (forse).

L’abbandono è il cold case delle aree interne, si rischia di perdere tutto nell’equivoco del ritorno, e nemmeno per chi ci vive c’è misericordia. Di insediamenti in estinzione ce ne sono a centinaia, se non a migliaia, in autogestione negli ultimi vent’anni.

Non esiste nessun segnacolo, nessuno studio, nessuna intenzione di indagare su quegli abitati. La disciplina che si avvicina di più a questo argomento, per la capacità che ha di indagare le epoche passate, sollevata da qualsiasi giudizio, è l’archeologia.

Non si capisce perché professori di letteratura, di diritto del lavoro, di antropologia delle tradizioni popolari, che fino a sei mese fa, studiavano amuleti e pratiche magico religiose, i sindacati o analizzavano la poetica di Montale oggi si occupano dei paesi.

Il mancato studio di frazioni oramai dirute, abbandonate, è il frutto di scelte opportunistiche in cui si è inseguita la moda di un argomento e non il proprio contesto di studio. I paesi di cui non avremo più notizie, saranno migliaia, considerato che molte sono frazioni, declassate ad appendici di comuni più grandi.

L’oblio in cui cadranno le storie locali è il classico esempio di “memoria negata”. Seguire le mode e spostarsi da un argomento, all’altro crea questi vuoti conoscitivi. Impossessarsi di argomentazioni di cui non si ha contezza rischia di perpetrare un opportunismo verso discipline storiche senza averne le competenze.

Frattura(AQ) in autunno, foto di Claudio Mammucari

Ricostruire è una dimostrazione di potere. E’ il sogno dell’immortalità, che ripropone schemi di insediamento, senza che siano stati messi in discussione comportamenti maschilisti e l’atavica misoginia di questi luoghi, dove la donna si muove entro schemi multipli di oppressione. L’idea di paese, la fissità dei ruoli, la produzione e la riproduzione che garantiva la donna con il suo lavoro fisico e biologico, non è la base per creare prospettive di rilancio di questi luoghi, fortunatamente scomparsi. Probabilmente, queste dinamiche si saranno traslate altrove, in città, all’estero, è vero, ma saranno molto più diluite, e meno segregate.

Come dice Donna Haraway filosofa e biologa del postumano, dovremmo vivere in simpoiesi con altre specie, ma anche con i cyborg, per creare parentele postume, attraverso pratiche trasformative, per sfuggire dai luoghi altamente contaminati da tradizioni connesse al patriarcato. Il Gruppo di ricerca Ippolita, nella prefazione del libro di Rosi Braidotti, Materialismo radicale, itinerari etici per cyborg e cattive ragazze, Meltemi editore ci ricorda che “a questa narrazione tossica dobbiamo opporre un lavoro di hacking del sé, attraverso una ricombinazione radicale, cioè disidentificandoci e disumanizzandoci, ponendo al centro non l’identità, ma la relazione, l’interdipendenza”.

La miseria che circola nei paesi è una realtà che chiede di venire la mondo. L’impoverimento progressivo che si sta manifestando, mese dopo mese, e che era incipiente prima della pandemia non può essere un progetto carrieristico e speculativo per chi vuole avere successo a scapito di chi ci vive. “L’essere pubblici” nei paesi dove non esiste più nulla, se non il dato umano, vuol dire abbandonare ogni mira personale, mettersi a lavoro, dedicarsi alla manutenzione, al risolvere una serie di necessità di approvvigionamento e di cura, che a furia di ripetere la parola comunità si è persa.

Alcuni contesti sono già siti archeologici. Alcuni paesi, frazioni terremotate, sotterrate dalle macerie, sono a tutti gli effetti potenziali scavi. Finora indagati senza andare in profondità, che potrebbero riportare alla luce case, chiese, magazzini, piani di lavorazione e oggetti. Ma anche elementi architettonici rimasti integri.

La stanzialità non crea storie. Per questo capisco il nomadismo digitale, soprattutto per le professioni creative. Il nomadismo nei paesi no, non ci sono le condizioni.

Creare ha a che fare con il mondo delle possibilità, vivendo disintermediati con un luogo e questo nei paesi è davvero difficile.

Andarsene da un paese, muoversi o scegliere una vita diversa da quella che ti offre il luogo di nascita non può essere sottoposto a giudizi. Moltissimi se ne sono andati, in alcuni paesi tutti, facendo perdere il paese dalle mappe.

Dove si trovano i paesi? Nella scrittura e nella letteratura locale. Per questo, invito a scrivere, a pubblicare, a lasciare una traccia. Immettere parti di sé nel racconto comune, anche se non è storico è una modalità di ricostruzione.

Il catalogo degli abbandoni potrebbe avere lo stesso ruolo della carta archeologica dei territori, una mappa in cui fissare insediamenti, paesi, frazioni di cui si sa poco.

Non è mai stato fatto uno studio aggiornato su quello che sono i paesi oggi, che sia uno studio multidisciplinare, di équipe, che sia una carta d’identità dei paesi.

Si crede che il folclore, la processione, la ricetta del giorno siano il paese, con tutti gli accessori come la piazza, lo struscio, il belvedere. Tra tutti quelli che spingono per il ritorno nei paesi demoliti dalla noia, quanti di questi ricercatori, professori universitari, innovatori, creativi e comunicatori ci abiterebbero? Che non vuol dire usare la propria biografia, cioè il proprio status economico per lavorare in città e vivere in paese, garantendosi beni materiali e prodotti culturali tramite Amazon o i centri commerciali.

Mentre scrivo sogno la completa rinaturalizzazione dei paesi diruti, abbandonati, dimenticati. Alcuni sono già fortunatamente inaccessibili, altri non mappati. Ricoperti di verde in primavera e sotto un ginepraio di rovi d’inverno.

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Anna Rizzo

Archeo-Anthropologist, Ethnographer. I map ancient cultures observing people & walking in the countryside. Mail: studioannarizzo@gmail.com