Vivere nei paesi

Anna Rizzo
5 min readMay 17, 2022

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Il diritto al lavoro nelle aree interne.

Anna — Trapani 2022 foto Giulio Rivelli

Dai paesi alle città le ricerche degli innovatori e degli accademici non vengono portate avanti per consolidare i diritti ma per vincere i bandi. Progettazioni effimere che abbassano il livello del confronto e annullano lo scontro sociale, il conflitto, che è il nucleo di complessità che genera idee, azioni e rivoluzioni.

Stiamo perdendo i diritti: grazie a chi in questi mesi ha permesso che chiunque si occupasse delle città e dei paesi senza professionalità, mettendosi a disposizione gratuitamente, partecipando a una call, pur di sedersi ai tavoli istituzionali e far partire la propria carriera.

Grazie a chi si è fatto scortare dai peggiori, sostenuto a base di like.

Raccontare l’indicibile, mettere sul tavolo le effettive necessità di chi abita i paesi: la mancanza di lavoro, la precarietà, la miseria scambiata con il saper vivere con poco, che non è vivere bene o vivere come una volta: è povertà.

Il PNRR è la pietra d’inciampo, l’ultimo scandalo che ha visto amministratori analfabeti delle necessità dei propri paesani, che hanno rigirato il bando a chi da anni non aspettava altro che realizzare il proprio progetto di architettura, in una speciale Biennale degli Orrori.

Imbarazzanti battaglie per i soldi che arriveranno dal bando Borghi, che hanno come obiettivo quello di costruire case, spazi pubblici e aree ricreative nelle frazioni con futuri abitanti zero. Nei paesi manca tutto tranne le case e gli spazi pubblici. Manca invece il diritto alla salute, al lavoro, alla scuola, ad innamorarsi, a provenire da un’altra parte del mondo, ad essere una famiglia monogenitoriale, a morire, a cambiare sesso, alla privacy. Manca la possibilità di nascere e sentirsi liberi.

Nei paesi non esistono safe space, esistono delle persone che sappiamo essere accoglienti, ma non esistono vie per scappare.

Nelle aree interne mancano i diritti e chi li analizza riproduce un sistema gerarchico, che non interrompe comportamenti corporativi, non riesamina la propria misoginia e declassa la mancanza dei servizi a “faccende private”, perché nella maggior parte dei tavoli di lavoro si siedono solo uomini, che non li fa sentire nemmeno titolati per cambiare le cose.

Lo spiega bene Sally Rooney, in Dove sei, mondo bello, per Einaudi, “In pubblico non faccio che parlare di etica della cura e valore della comunità umana, ma nella vita vera non mi accollo l’incombenza di badare a chicchessia all’infuori di me. Chi mai conta su di me per qualcosa a questo mondo? Nessuno. Posso biasimare me stessa, e lo faccio, ma penso anche che sia un fallimento generale”.

La piazza è uno degli spazi pubblici che ci legittima perché è il luogo del conflitto, dove è possibile osservare a quali marginalità appartengono i paesani. Invece diventano luoghi di talk, di festival e si racconta dei paesi come in una televendita, per diventare progetti di rigenerazione ben finanziati, in cui si formalizzano modalità spontanee e informali di stare insieme. Una rapina ai danni di chi rimane a vivere nei paesi, ignari che “quello che si vende è il loro stile di vita”, che da lontano appare slow, autentico e salutare, mentre da vicino è disoccupato e precario.

Per rimanere a vivere nei paesi bisogna avere un progetto lavorativo, investire del tempo e analizzare il contesto attraverso strumenti economici, perché l’obiettivo è il reddito, non un post su Facebook. Reclutare chiunque e ovunque per mappature, conferenze e presentazioni senza che si abbiano competenze e senza corrispondere un contributo economico è solo uno sfruttamento lavorativo o una dinamica da paese senza diritti. Esistono ricercatori e ricercatrici che lo fanno già.

Mi scrivono donne che vivono nei piccoli paesi, in cerca di una dimensione lavorativa gratificante e remunerativa, ma che trovano evidenti difficoltà. Sia perché le condizioni economiche sono svantaggiose, sia perché è davvero difficile avere un contratto regolare. Vengono sedotte dall’idea di partecipare ai tavoli di lavoro sulle aree interne gratuitamente. Una corvèè, ciòè una prestazione lavorativa gratuita in queste aree è inammissibile, soprattutto se questa richiesta proviene da enti istituzionali, agenzie e fondazioni che sono ben finanziate. Rientrare nel ciclo dei vinti dalla porta principale è la beffa che danneggia ed erode ogni buona intenzione delle donne nei paesi. E’ umiliante per le tante professioniste che tornando a vivere in un paese con poche possibilità lavorative si trovano in situazioni oblative e servili.

Quello che si chiede è di portare in scena la propria vita privata, la propria fragilità, storie personali e familiari che ti riducono a “emblema del disagio” senza di fatto risolvere nulla. Queste energie vanno convogliate nel proprio progetto, indirizzate verso obiettivi personali che non vi faranno sentire svuotate. E’ difficile emergere dalla provincia, il territorio è carente di infrastrutture e manca una visione collettiva che non vuol dire che sia impossibile. Dopo aver studiato e lavorato fuori, ritornare nel proprio paese, se non lo si fa per scelta è drammatico. Mancano le testimonianze di chi vuole andarsene e dovrebbero esistere degli uffici pubblici per facilitare la possibilità di cambiare vita.

“Resistere per principio è inutile, resistere da invisibile a chi serve?”

Rimanere a vivere in un paese è prima di tutto un progetto economico felice. La crisi narrativa sulle aree interne è generata dalla mancanza di ricerca, dai volontari, dagli hobbisti e dai nostalgici. Sintetizzato nella parola restanza o “quello che le persone non sono diventate e che pensavano di essere”.

I progetti per rimanere devono essere economici non immateriali. Quel tipo di progettazioni servono solo ai teorici, per fare bella figura e comunicare che il loro sistema di valori non è corrotto dal commercio. Come nelle trappole preistoriche, al posto delle mandrie, nel baratro di questa narrazione a favore degli speculatori, ci hanno trascinato giovani, ricercatori, giornalisti che pur di far parte dei commentatori amatoriali hanno danneggiano prima di tutto chi ci vive.

Dove nasce questa incapacità di reagire al dolore degli altri? Cosa ne è rimasto dopo anni di convegni, libri e webinar? Chi ha visibilità o un ruolo istituzionale ha il potere oggi di farsi sentire e reclamare ciò che serve e se non si ha quel tipo di potere almeno che sia di ispirazione. La modalità con cui si può risanare l’economia di un luogo è imprevedibile perché è legata alle volontà e alle ambizioni di chi ci vive. La linea di confine con questo argomento è quella dell’assistenza sociale, del lavoro sul campo, nelle case degli anziani per esempio, nel pianificare come far arrivare la spesa a casa di persone non più autosufficienti, garantirgli una effettiva dignità di vita, quindi un accudimento e una pulizia domestica, dato che la maggior parte degli abitanti dei paesi è oramai fragile.

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Anna Rizzo

Archeo-Anthropologist, Ethnographer. I map ancient cultures observing people & walking in the countryside. Mail: studioannarizzo@gmail.com